Gratuitamente non vuol dire gratis.
La differenza tra servizio e dono
alla base di un cristianesimo autentico.
Intervista realizzata da Engarda Giordani e apparsa su “RotaryNOI” n. 57 – Febbraio 2017, periodico quadrimestrale del Rotary Club Orta San Giulio, di cui Engarda Giordani è Direttore Responsabile.
Tassi di natalità ai minimi storici e nuove generazioni immerse in quella che Zygmunt Bauman definisce “modernità liquida” ci impongono riflessioni approfondite sul mutamento repentino della nostra realtà, a partire dalla società non più “dei consumi”, ma “consumistica”, nella quale “fare esperienza ripetuta di tali emozioni diventa l’effettivo fondamento dell’economia” con influenze devastanti nella dinamica delle relazioni nella vita quotidiana. Il nostro status di cittadini liberi trasuda sfiducia nel futuro, manifesta sconforto che influisce fortemente sulle relazioni tra gli uomini in questo momento storico così permeato da precarietà economica e da tragedie immani, come l’immigrazione clandestina, il terrorismo (islamico e non solo) e le catastrofi naturali o frutto di azioni umane scellerate. Come è possibile agire in aiuto del prossimo? L’incontro con Monsignor Franco Giulio Brambilla non solo ci invita ad una riflessione su questo tema tanto importante per l’umanità ed in special modo per i rotariani, ma ci porta a conoscere un modello di intervento virtuoso a sostegno e supporto di nuove iniziative nel territorio novarese. Le parole di Monsignor Brambilla ci rivelano come sia determinante il confronto con verità che giacciono latenti ed oggi più che mai sono da coltivare; certamente vicine alla carità cristiana e già scritte nei libri di storia; senza dubbio alcuno da riscoprire e diffondere, attraverso azioni consapevoli che possano aiutare ad affrancarsi dal bisogno. Nasce l’impulso a seguire fortemente un percorso di libertà che transiti in primis dalla presa di coscienza della necessità dell’aiuto per nutrirsi poi di azioni che possano portare alla trasformazione dell’uomo da soggetto di bisogno a soggetto di relazione e di responsabilità. La nascita della Fondazione San Gaudenzio Onlus ed il fortunato incontro con i Rotary del territorio, che ha ulteriormente potenziato il progetto “Microcredito”, è da annoverare tra gli esempi virtuosi generativi di concreta speranza.
Il tema del dono nella storia
Una vasta letteratura nel Novecento sul tema del dono porta a definirne tre tipologie: il dono munifico, quello benefico ed infine quello malefico. Il dono munifico si esprime in una relazione di aiuto, non intende diminuire le distanze tra i soggetti interessati, ma mira ad alleviarne le conseguenze. Rimane l’asimmetria sociale ed un esempio tipico è rappresentato dalle classi borghesi dell’Ottocento, che, esercitando molta carità sociale costruendo asili o facendo donazioni agli ospedali, non avevano alcuna intenzione di azzerare le distanze con i destinatari della loro azione caritatevole. Il dono benefico è uno scambio tra partner che mira a far crescere le relazioni. Non è importante tanto il valore del dono, ma l’azione “creativa” e libera che si genera: il dono non deve umiliare le parti in caso di disparità. Sottolinea Monsignor Brambilla «A questo dovrebbe puntare la caritas cristiana. La caritas vera e propria non aiuta solo il povero, non lo tratta soltanto con dignità, ma lo libera dalla sua povertà. Questo non è un discorso oggi molto diffuso, anche negli ambienti del volontariato». Il terzo tipo di dono è quello malefico: il dono può diventare addirittura il luogo dell’offensiva e dell’offesa, una minaccia verso l’altro. Se offrendo un dono si prevarica o si è umiliati, non vi è spazio per una replica creativa e la relazione che nasce sarà sempre di dipendenza, mai di parità.
Una nuova etica del dono, dalla dipendenza al legame di libertà.
La premessa cui attenersi per comprendere appieno la logica che sottende quella che si può definire “una nuova etica del dono” è l’enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, al paragrafo n. 34. Il Papa sottolinea come il mercato inteso come luogo dell’economia di scambio non coincide con l’ideologia del “profitto ad ogni costo.” C’è infatti una legittimità dell’economia di scambio: sia nei fautori che nei detrattori si trova l’idea che scambiare beni comporta non solo far profitto ad ogni costo, ma anche accrescere l’economia di un paese. L’enciclica non demonizza l’economia di scambio, ma anzi sottolinea l’aspetto determinante per il suo sviluppo, dichiarando che si fonda sull’eccedenza del dono. Sottolinea Monsignor Brambilla: «Il “dono”, tuttavia, va inteso bene, soprattutto da parte di noi cattolici, perché per noi il dono tale se è a perdere. Certamente il dono nella sua origine è assolutamente gratuito: non può essere fatto con l’intenzione di un ritorno al donatore. Si può morire per la patria e per la famiglia, si può morire per la fede, e in questo senso il dono è assolutamente gratuito. Tuttavia, in occasione del “Primo Quaresimale per il mondo dell’economia e della finanza”, promosso dal Progetto Passio *, è emerso il valore del dono, cioè della carità, come fattore dello sviluppo economico e della giustizia sociale. Lo strategico paragrafo n. 34 della Caritas in Veritate è stato lo spunto decisivo che ha dominato gli interventi del Convegno tenutosi nel marzo 2012 a Novara, nell’Aula Magna del Dipartimento di Economia dell’Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. L’idea del valore politico della carità proclama che il dono non è semplicemente accessorio al regime della giustizia che deve regolare i rapporti sociali». È di estrema rilevanza prendere atto che il dono sia necessario al regime della giustizia, quando di solito viene contrapposto o accostato ad essa. Prosegue infatti Monsignor Brambilla: «La logica del dono e della fraternità, in altri termini della carità, appare necessaria al regime della giustizia. Infatti, anche la logica di scambio non ha di mira solo lo scambio dei beni, ma tende ad aumentare l’alleanza sociale, a far crescere l’appartenenza comune alla città dell’uomo. Per questo anche il rapporto di scambio tra pari (io ti do una cosa e tu mi dai qualcosa in cambio) ha bisogno di una gratuità che preveda l’accrescimento della vita comune. La società mercantile non può vivere senza la speranza che nel dare e nel ricevere si accresce il patrimonio di umanità della vita sociale. Senza dono anche la giustizia dello scambio dei beni s’inaridisce in una logica mercantile sempre minacciata dall’avidità, dal carrierismo, della voracità personale e sociale». La situazione assistenziale del welfare talvolta non ha suscitato risposte responsabili. Il welfare europeo ha sovente offerto solo beni a perdere, nella logica della giustizia distributiva. Sappiamo però che il bisogno si specializza, seguendo una logica quantitativa ed in questo caso non è solo colpa di chi ha bisogno, ma anche di chi serve chi ha bisogno. Occorre dunque un cambio di mentalità del modo di fare carità: nelle comunità bisogna privilegiare quei progetti che liberano creatività, inventiva, sfida sociale, affinché ciò che si costruisce, rimanga per il bene comune.
La liberazione dal bisogno per far crescere il “noi sociale”.
In ogni economia di scambio – di fatto – non esiste solo il “puro scambio”, ma esso vive necessariamente di qualcosa che fa crescere il legame tra coloro che offrono le prestazioni, i servizi o producono i beni e coloro che li ricevono. La dinamica dell’azione che sottende ad uno scambio, per quanto differito nel tempo, prevede un ritorno «e questo è fondamentale per far crescere il “noi sociale”» sottolinea Monsignor Brambilla. Prosegue: «La liberazione dal bisogno è un impegno specifico del cristianesimo. La relazione di aiuto deve portare a una libertà che diventa responsabilità. Cosa vuol dire liberare dal bisogno? Significa mettere l’altro in condizione di autonomia e perciò renderlo libero per essere responsabile di fronte alla sua vita personale e sociale. La specificità dell’intervento cristiano non risiede solo nel dar da mangiare all’affamato, ma metterlo in condizione di guadagnare il suo pane con dignità!»
Gratuitamente non vuol dire gratis: il progetto “Microcredito”.
Con questa frase volutamente provocatoria, si qualifica il rapporto tra le parti. Si tratta di una formula molto chiara: se viene dato un sostegno “gratuitamente”, non significa che si genera un debito nei confronti del donatore, ma si instaura un meccanismo – guidato – affinché l’aiuto dato oggi, domani si possa trasformare in qualcosa da offrire ad altri. Non un rapporto binario, ma una forte relazione tra tre soggetti: il donatore, il ricevente e la società. Non è sufficiente rispondere alle necessità e trattare il bisognoso con dignità, ma occorre liberare il povero dal bisogno, offrendo un dono che tenda ad innalzare colui che è dispari, facendolo diventare pari. Ecco da ove nasce l’idea del microcredito. Il Microcredito mette a disposizione risorse economiche, che non vanno incontro ai bisogni primari (utenze, debiti pregressi…), ma consentono alle persone di iniziare o continuare un’attività produttiva che valorizzi la loro responsabilità. Il credito è concesso ed in cambio si chiede di attivare la responsabilità, affinché il ricevente possa costruire attraverso la propria creatività ed il lavoro, distesi in una dimensione temporale giusta, un patrimonio tale che non solo restituisca il credito con un piano di ammortamento bassissimo, ma consenta di mettere l’eccedenza nuovamente in circolo. Questo meccanismo non si attiva solo per chi ha necessità di denaro, ma anche a chi ha bisogno di consulenza. Su 54 casi assistiti, 36 hanno avuto un finanziamento e 18 hanno richiesto solo consulenza. E anche coloro che hanno avuto bisogno di risorse hanno riconosciuto il valore di un tutoraggio competente che li ha messi in condizione di diventare creativi, scoprire quella passione per il lavoro, che una donazione a fondo perso non avrebbe forse risvegliato in loro.
Una “carità intelligente”, espressione di fraternità.
Con il cristianesimo la caritas è portata al centro della relazione sociale, e le forme di relazione d’aiuto verso il povero, il bisognoso, l’indigente si articolano in tre fasi. La sintesi di Monsignor Brambilla è estremamente chiara: “La relazione di aiuto è
1) la risposta al bisogno;
2) l’incontro con il bisognoso;
3) la liberazione del bisogno.
Detto in termini più personali è
1) l’aiuto al povero;
2) il rispetto della sua dignità;
3) la possibilità di renderlo autonomo e libero dalla povertà”.
Il fine ultimo della carità (e quindi anche di ogni azione sociale che non risponda solo al criterio della giustizia commutativa) è quello di liberare l’altro (il povero, il senza lavoro, il migrante, ecc.) dal bisogno, per renderlo “un fratello libero”, ovvero un cittadino responsabile che partecipi al bene comune e alla vita sociale, perché avendo ricevuto tanto, possa a sua volta dare almeno qualcosa. Il dono in questo modo ha messo in grado la persona di non farsi più aiutare, e l’ha resa autonoma, responsabile e capace di uscire dallo stato di bisogno. Questo esempio di carità non a fondo perso, non tratta il povero “dall’alto in basso”, non lo mantiene tale, ma per lo rende gradualmente più responsabile. Se la società liberale che si basa sullo scambio è impostata sul “do ut des”, se quella socialista è fondata sul riequilibrio dei beni attraverso la mano pubblica che redistribuisce risorse provenienti dalla tassazione, occorre introdurre una dinamica che medi effettivamente tra la logica dello scambio e quella della distribuzione delle risorse pubbliche, introducendo un’etica del dono che renda responsabili e sempre più capaci di iniziativa personale. L’applicazione di questa dinamica si radica sul pensiero cristiano. Monsignor Brambilla conclude: «Cristo diventa uomo per renderci uomini liberi, non per tenerci schiavi o servi, ma per emanciparci. Il cristianesimo non ha messo in discussione esplicitamente i diritti negati, ma ha cambiato la società dal di “dentro”: Gesù che è il Figlio si è fatto servo, perché il servo potesse diventare figlio libero. È questa la novità sconvolgente della rivelazione cristiana: in tutte le relazioni d’aiuto, la prima cosa non è solo aiutare, ma rendere l’altro capace di essere autonomo. E sempre più libero! È una relazione d’aiuto educativa, per prendersi cura dell’altro, affinché la persona diventi soggetto responsabile della città dell’uomo».
Mons. Franco Giulio Brambilla
Franco Giulio Brambilla è nato a Missaglia (Lc) nel 1949. Ordinato nel 1975, ha conseguito la laurea alla Pontificia Università Gregoriana, con un lavoro su La cristologia di Schillebeeckx. Ha insegnato prima nel Seminario di Seveso e poi nella Sezione Parallela del Seminario di Venegono Inferiore (Va), di cui è stato Direttore dal 1993 al 2003. È ordinario di Cristologia e di Antropologia Teologica alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e Preside della stessa dal 2006 al 2012. Dal 2007 è Vescovo ausiliare di Milano e Vicario per la cultura della Diocesi. Diventa Vescovo di Novara dal 2012. Membro della Commissione episcopale per la Dottrina della fede e la Catechesi della CEI e Presidente del Comitato per gli Studi superiori di teologia e Scienze religiose, nel 2015 è eletto Vicepresidente della CEI per il nord Italia. Ha partecipato al Sinodo ordinario sulla Famiglia del 2015. Tra le sue pubblicazioni principali: Il Crocifisso Risorto. Risurrezione di Gesù e fede dei discepoli (Queriniana, 1998, 2011); Esercizi di Cristianesimo (2000); La Parrocchia oggi e domani (2003, 2004); Chi è Gesù? Alla ricerca del Volto (2004); Antropologia Teologica. Chi è l’uomo perché te ne curi? (Queriniana, 2005, 2009); Tempo della festa e giorno del Signore (2012); Adamo dove sei? Sulla traccia dell’umano (2015).